- 15 dicembre 2016
- Posted by: Admin
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La scintilla geniale e creativa c’è stata. Tanti imprenditori sono diventati tali grazie ad essa, vivace testimonianza dell’italico talento e dell’umana intuizione. In un mercato dove “sfornare” un buon prodotto rendeva possibile creare business, l’Italia ha costruito se stessa e il suo tessuto economico: le PMI, mirabili espressioni di quella scintilla.
Ora il mondo è cambiato e con lui ogni mercato. Il microcosmo padrone-centrico di un’impresa grida oggi l’urgenza di trasformarsi in “sistema azienda”, anche per i piccoli. L’improvvisazione intuitiva non basta più, il “buon senso” italico rischia ora di diventare un ostacolo allo sviluppo e alla crescita perché le aziende non si fanno col buon senso, ma con la capacità di governarle.
Improvvisare è un rischio troppo alto, spesso un alibi dietro cui mascheriamo il nostro irriducibile individualismo al pari della ancestrale paura di cambiare. Non sarà una colpa di per sé, però è colposo non osservare la realtà, non coglierne i segnali, non guardare gli indizi.
Alle nostre imprese serve aiuto, agli imprenditori serve coscienza di ciò e azione. Si dice che un buon imprenditore è colui che si rende inutile alla propria impresa, ovvero la rende autonoma e lungimirante. E questo significa darle una struttura, un’organizzazione, imparare a fare strategia, pianificazione, analisi, gestione, controllo, coordinamento, relazione, promozione, vendita. Significa saper giudicare il proprio modello di business, migliorarlo, cambiarlo se necessario. Nessuno nasce “imparato” ma pensare che esista un solo modo per condurre l’impresa nel tempo e attraverso le generazioni è irrealistico e contraddittorio. Non farsi aiutare è cieco, presuntuoso, finanche irresponsabile.
Le nostre imprese hanno bisogno di managerialità, conoscenza del mercato, di un rapporto diverso con i clienti, di processi pensati, di procedure. Non per affossare l’operatività ma per renderla fluida, monitorabile, produttiva.
Chi si è mosso in questa direzione ha ottenuto risultati, riscoprendo il valore della propria “intrapresa” e delle proprie risorse. Chi non vuole farlo perde l’opportunità di esprimere al meglio la sua eccellenza che, pur se presente, talvolta ha solo bisogno di emergere affrancandosi da processi non fluidi. Chi non vuole farlo perde l’opportunità di competere, inserendosi in un processo che – neanche troppo lentamente – potrà far spegnere quella geniale scintilla che lo ha reso imprenditore.
Possiamo ancora perdere tempo?